Investire in arte

Anche l’investimento in prodotti artistici può comportare della sofferenza animale, anche perché gli animali nell’arte sono una presenza costante. Storicamente solamente rappresentati, a meno dell’uso delle loro viscere per creare pigmenti o altro. Da un po’ di tempo vi è nell’arte anche una demenziale tendenza concettuale che li sfrutta e li uccide. 

Partiamo con Damien Hirst e gli animali in formalina, famosa la mucca in formalina tagliata a meta. Dal 1990, quando ha iniziato, la rivista Artnet ha calcolato che ha ucciso 38 animali da fattoria, almeno 685 pesci e uno svariato numero di insetti, tra cui 2000 farfalle.

Un altro è Hermann Nitsch, con la scusa di ritornare alla primordialità umana nelle sue performance mette in scena rituali ancestrali attraverso il sangue, le interiora e i cadaveri di animali. Si difende, affermando che nelle sue performance sono utilizzate solo carcasse di animali già morti. Ma qualcuno li avrà pur uccisi per lui.

https://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/25/hermann-nitsch-lartista-che-mutila-e-crocifigge-gli-animali-in-mostra-a-palermo-polemiche/1813932/

Altri usano animali tassidermizzati come Cattelan, si veda l’opera Novecento, con un cavallo imbalsamato steso a terra. Lo stesso vale per Jan Fabre. Numerose sono le sue installazioni con delle carcasse di gatti appesi a dei fili, tra l’altro anni fa era anche presente a Venezia, al Museo d’arte moderna di Cà Pesaro. La cosa sarebbe accettabile se le carcasse fossero state recuperate da animali morti in strada, ma non risulta sia stato così.

Vi sono poi  sedicenti  artisti che non si fanno scrupoli ad esibire animali vivi.  Per esempio quello che anni fa  in una esposizione in America centrale ha fatto morire un cane di fame dentro la galleria d’arte. Aveva anche la pretesa di voler evidenziare con la sua installazione, la durezza della condizione dei cani randagi dove vive. Ben diverso da come si comportava Beuys con i canidi. Nella  performance, del 1974 I like America and America likes me, l’artista convive per tre giorni dentro una stanza con un coyote. Prima l’animale è diffidente e strattona la coperta che l’artista si è portato, ma non lo morde. Si scrutano poi dormono e mangiano nello stesso spazio, dato che Beuys predispone ciotole di acqua e di cibo per il coyote. Un po’ alla volta la convivenza diventa accettazione reciproca.

https://performanceartebodyart.wordpress.com/2013/07/11/joseph-beuys-i-like-america-and-america-likes-me/

E’ sempre difficile stabilire se l’esibizione della sofferenza animale è opportuna per sensibilizzare le coscienze, come vorrebbe fare Adel Abdessemed con i video ripresi in un macello in Messico, dove si vedono vari animali uccisi a colpi di mazza. Oppure se alla fine risulta solo voyeurismo che può incentivare analoghe emulazioni. 

https://iperarte.net/animaliearte/

Quindi arte e sofferenza animale ultimamente sono più intrecciate e talvolta la relazione è ambigua. Il confine morale dell’utilizzo degli animali dovrebbe ed è universalmente individuato. Secondo la Dichiarazione dell’Unesco del 1978, infatti, nessun animale deve subire violenza per il divertimento gratuito degli umani. “Le esibizioni di animali e gli spettacoli che utilizzano gli animali sono incompatibili con la dignità dell’animale”, recita l’articolo 10 della Dichiarazione.

I prodotti artistici possono talvolta  diventare veicoli di denuncia dei soprusi sugli animali in modo indiretto e che forse è il più efficace  Citiamo per esempio una delle maggiori figure dell’arte contemporanea: Marina Abramovich. L’artista serba ci interessa per una sua performance, Balkan Baroque del 1997, dove per 4 giorni è andata avanti a pulire ossa di mucca provenienti da macelli, senza mai cambiarsi la bianca tunica che indossava e che alla fine era completamente imbrattata dai residui organici. Tale attività era un metafora dell’orrore della guerra in ex Jugoslavia, ma lo spolpare completamente le ossa di un animale non può non denunciare quello che avviene nei macelli di tutto il mondo per l’alimentazione umana. Inoltre una parte dell’opera è un video su una barbara pratica del suo paese che consiste nel mettere vari topi su una piccola gabbia. Anche se di solito i topi non si ammazzano tra loro, in questa condizione si mangiano l’un l’altro, finche ne resta uno solo. Questo viene chiamato topo lupo, ma l’orrore non finisce qui perché l’umano si accanisce anche contro l’ultimo rimasto con ulteriori raccapriccianti crudeltà. Chi vuole approfondire vada su: 

https://www.ariberti.it/ex-jugoslavia/balkan-baroque.html

Altri artisti si fanno coinvolgere dall’empatia che suscitano gli animali e, senza diventare melensi, li fanno diventare protagonisti delle loro opere.

Diamo alcuni nomi 

Katja Novitskova che partendo da suggestioni di figure animali le deforma fino a renderle quasi irriconoscibili. 

Chris Morin-Eitner che riforestando le città nelle sue composizioni fotografiche, risarcisce natura e animali che si riappropriano dello spazio antropizzato. 

Karin Andersen che crea nelle sue opere commistioni tra umano e animali non umani , come fa anche Marta Roberti. 

Inoltre  In Italia da segnalare Alberto Salvetti uno dei primi fondatori di Artantide arte etica, che oltre a creare animali perfettamente riconoscibili in cartapesta  crea composizioni dove degli umani si portano sulle spalle di volta in volta diversi animali. Quasi a ricordare, in una sorta di citazione di Enea che porta sulle spalle il padre Anchise, che deriviamo da essi. 

Tutti artisti facilmente recuperabili in rete.